Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 26446/2024) ha stabilito un importante precedente nel diritto del lavoro italiano, riabilitando una lavoratrice licenziata per aver criticato l’azienda sui social network.
La dipendente aveva denunciato la presenza di sostanze nocive sul luogo di lavoro, situazione che aveva causato l’intossicazione del marito. In seguito all’incidente, aveva pubblicato commenti negativi su Facebook contro l’azienda e il suo CEO, subendo il licenziamento immediato.
La Suprema Corte ha però ribaltato la decisione aziendale, sottolineando che le offese pubblicate sui social, quando sono frutto di una reazione emotiva a un’ingiustizia subita, non giustificano automaticamente il licenziamento. I giudici hanno interpretato i commenti come uno “sfogo iracondo” provocato dalla grave situazione lavorativa, escludendo gli estremi dell’insubordinazione e applicando l’esimente prevista dall’art. 599 del codice penale per le offese pronunciate in stato d’ira.
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