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La reputazione di Facebook al “punto di non ritorno”

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La reputazione di Facebook al “punto di non ritorno”

9 Novembre 2021

Articolo di Rosanna Perrone

Dopo settimane di rumors, l’annuncio di Metaverse come la grande novità in arrivo da parte di Mark Zuckerberg ha già prodotto ironie, facendo dimenticare in fretta quella che è qualcosa di più di una mera operazione di rebranding da parte del più popolare social network del nostro tempo. Che produrrà o meno il risultato sperato è ancora da vedere ma, intanto, cerchiamo di fare ordine tra gli annunci ufficiali e i numerosi commenti che la riguardano.

Trend di settore, opportunità di mercato e controversie etiche

Con un valore di quasi 1TRN di dollari (mille miliardi di euro), Facebook è attualmente la sesta azienda più preziosa del mondo. Solo nell’ultimo anno, le sue entrate sono cresciute del 56% e, al momento, il prezzo delle sue azioni è salito oltre di un quarto. Quasi 3 miliardi di persone ogni mese usano i suoi prodotti, comprese in un portfolio di applicazioni social (come Instagram, WhatsApp, e Messenger) ma anche una divisione dedicata alla realtà virtuale (Oculus, Portal), un wallet digitale (Novi) e una valuta (Diem, ex Libra).

Già dal 2016 alcune controversie, riguardanti l’istallazione di una VPN ad alcuni iscritti a Facebook di età compresa tra i 13 e i 35 anni in cambio di un pagamento mensile, avevano iniziato a esporre l’azienda sotto un’inedita cattiva luce, ma è negli ultimi due anni che una cascata di fuga di notizie arrivate da più fonti, con annesse biografie, testimonianze e, evidentemente, anche fake news a tema, hanno creato veri e propri eventi lesivi per il brand.
Si diceva da un anno che il CEO, Mark Zuckerberg, avrebbe voluto utilizzare la strategia di ridefinizione del brand “Facebook Inc.” per ripulirlo dalle negatività croniche che definivano troppo spesso la sua identità, riguardanti appunto la violazione di dati personali, abusi nel controllo della condivisione di notizie, impatti sulla salute delle persone con particolar riferimento a quella dei più giovani.

Arriviamo così al 28 ottobre scorso, quando “Metaverse Platform Inc.” sostituisce la precedente denominazione societaria, controllando da quel momento i servizi di networking a cui fanno capo Facebook e Instagram, e tutte le loro app annesse e connesse. Proprio Facebook ha annunciato che, per farlo, aveva appena assunto 10.000 nuove figure professionali. Nel suo annuncio, il CEO lo descrive come il sogno di veder finalmente realizzata una vera e propria infrastruttura virtuale, cioè un “metaverso” fatto di luoghi ologrammatici per il lavoro, per il tempo libero e per la vita di tutti i giorni: progetto impossibile senza un buon nome.

È questa la terza fase di sviluppo di un piano, forse poco originale, che però arriva nel momento di un trend di settore in crescita in cui, Facebook, anzi Meta, vorrebbe posizionarsi come uno tra i primi player del mercato. In passato ci avevano già provato altri, anticipando di troppo le effettive esigenze degli utenti, ma la crisi pandemica ha definitivamente accelerato il passaggio verso la nuova dimensione.
Insomma, la vision su “Il libro delle facce”, nata 17 anni fa in uno studentato di Hardvard, è stata largamente esaurita e, uno scandalo dopo l’altro, ha portato il social network a diventare qualcosa di diverso, sicuramente con un’anima meno digitale e più virtuale, aprendo le porte della trasformazione robotica e transumana anche al pubblico più popolare e di massa. Ma a questo risultato non si arriverebbe senza dolori, come stiamo già vedendo da qualche tempo a questa parte.

Perché secondo gli inserzionisti Metaverse non è qualcosa da festeggiare

La ragione – ufficiosa, più che ufficiale – della strategia di rebranding di Facebook , resta legata ai fatti di un mese fa, quando è avvenuto l’ultimo down che ha colpito il sistema del più grande social network del mondo, tra le altre cose battendo il record del peggior down globale di sempre. Una figuraccia? No, sarebbe troppo superficiale liquidare il caso in questa maniera. O, quantomeno, non solo.

Infatti, successivamente al crollo del 4 ottobre, durato ufficialmente per sei ore, sappiamo che la testimonianza da parte di Frances Haugen al Congresso americano ha avuto un ulteriore impatto sulla crisi in corso. Product Manager in grandi aziende tecnologiche come Google, Pinterest, Yelp e Facebook, Haugen ha lavorato fino a sei mesi fa in Facebook in gran parte sui prodotti algoritmici della search e dei sistemi di raccomandazione dei contenuti che alimenta il News Feed del social. Nel suo intervento, riportato dal Washington Post, ha raccontato una serie di pericoli legati allo sviluppo dei progetti del CEO, che arrivano alla messa in pericolo della democrazia. In risposta, alcuni politici si sono chiesti, forse non troppo retoricamente, se il mondo sarebbe un posto migliore qualora l’interruzione fosse stata permanente.

Si è trattato dell’ennesimo colpo basso alla reputazione del brand, in un trend di percezione negativa che riguarda gli ultimi anni, durante i quali gli esponenti governativi di molti Stati del mondo hanno spesso puntato il dito contro l’azienda americana: per ostacolare un’evoluzione considerata appunto pericolosa per la società, sono stati pubblicati studi legati all’educazione, report che proverebbero gli impatti negativi sugli adolescenti, correlazione con suicidi e problemi alimentari, con l’informazione non verificata, fino a scandali politici legati alle inserzioni e alla censura, nonché a problemi legati alla gestione filtrata delle informazioni sanitarie durante la crisi pandemica.
Eppure, proprio i governi di tutto il mondo si sono finora dimostrati incapaci di coordinare una riforma concreta per gestire, più che tenere a freno, lo sviluppo dei sistemi digitali che crescono in questa direzione.

Nel frattempo, gli inserzionisti si sono dimostrati preoccupati sin dai primi rumors sul nuovo look aziendale della piattaforma: mentre già da sola l’eredità di Facebook sul mondo reale la trascina verso il basso, il metaverso non sarebbe affatto da festeggiare perché questo potrebbe comportare una grave perdita di investimenti pubblicitari. Se fino ad oggi l’ADS era alla base del modello di business del social network, un cambiamento della macro-strategia riguarderebbe quindi non solo un mero rebranding. Forse era questo il motivo per il quale, anche l’Head of Global Advertising Sales di Facebook, Carolyn Everson, nello stesso periodo, ha deciso di lasciare il gruppo, dopo dieci anni di servizio?

Gli investitori, per ora, hanno continuato a comprare le azioni, indipendentemente dai titoli negativi, ma anche la fiducia dimostrata dai mercati potrebbe ormai non bastare più per risalire la china. Sappiamo bene che la finanza, al netto degli andamenti dei titoli in borsa, è legata prima di tutto a temi di intelligence, di psicologia dei mercati, di percezione dei brand, e la crisi che si è scatenata in tal senso dimostra che i problemi di reputazione di Facebook sono obiettivamente sfuggiti di mano.

Personalmente ritengo che, se Metaverse dovesse riuscire a realizzare la sua infrastruttura “iper”, gli inserzionisti non dovranno tanto preoccuparsi degli spazi pubblicitari a disposizione, perché il modello di business non dovrebbe esser messo troppo in discussione, quanto delle nuove competenze tecniche e creative, necessarie per realizzare i nuovi format di annunci da “proiettare” in queste dimensioni parallele. Ma questo è un altro capitolo.

Basterà un rebranding per voltare pagina?

Se dovessimo osservarlo su una funzione, vedremmo come Facebook si sta(va) avvicinando ad un punto reputazionale di non ritorno. Anche se i suoi utenti più anziani rimangono attivi sul social network, Facebook ha già perso una larga fetta di pubblico più giovane, e le ambizioni più grandi della società rischiano di vedere un fallimento precoce se l’opinione pubblica continua a esprimere avversità. In fondo, chi voleva un metaverso, oltretutto creato da Facebook?

Tornando al nodo principale, la manovra di rebranding del social network dalle uova d’oro in futuro potrebbe dimostrare che sarà stata necessaria per evitare il predetto crollo reputazionale, pericoloso anche per lo sviluppo del metaverso e per i suoi investitori. Ma che non avrebbe dovuto avere solo questo scopo.

Le argomentazioni business non sono più sufficienti per tirar fuori Facebook dal buco nero in cui è cacciata, e l’azienda, nei termini di “Metaverse Platform Inc.”, dovrebbe capire come gestire il suo volto pubblico: parliamo ancora una volta di Mark Zuckerberg, l’onnipotente fondatore.
Proprio grazie a lui – quando è intervenuto a commentare l’ondata negativa degli episodi delle ultime settimane, ottenendo solo di essere ignorato e ridicolizzato, perché le sue parole sono sembrate sempre più una bugia – abbiamo ricevuto il segnale chiaro che si tratterà sempre più di un down reputazionale che economico.

In fondo, come nelle migliori storie, “the problem starts at the top” suggerisce The Economist.

[Photo credits: Unsplash]