Il team internazionale di hacker Anonymous ha violato il database di Nestlé perché si è rifiutata di lasciare il mercato russo. Dopo l’attacco informatico Anonymous ha pubblicato il database dell’azienda prelevando 10 giga di dati, di e-mail e password, clienti aziendali Nestlé, insieme a un campione di dati di più di 50mila clienti business. L’azione, rivendicata dal collettivo di hacker su Twitter con l’hashtag #BoycottNestle, è arrivata allo scadere delle 48 ore che il collettivo aveva dato alla società per lasciare la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina cominciata il 24 febbraio scorso.
Sabato 26 febbraio è suonato un allarme nelle agenzie di intelligence occidentali. Col suo doppio ruolo di vice primo ministro e ministro della Trasformazione digitale dell’Ucraina, Mykhailo Fedorov ha lanciato via Twitter una preoccupante chiamata all’azione: “Stiamo organizzando un esercito IT. Abbiamo bisogno di talenti digitali”. Una fonte di intelligence occidentale ha riassunto l’iniziativa definendola “un invito a scatenarsi per decine di migliaia di mal intenzionati in giro per il mondo”. Un «Wild West» cibernetico in cui attivisti sconosciuti non hanno regole precise da seguire, e il cui potenziale di danno rappresenta un problema serio. «La Russia risponderà con diverse modalità. Ha già infiltrato i gruppi Telegram creati per coordinare l’attività dell’esercito IT offrendo script e programmi per aspiranti hacker che, invece di attaccare gli obiettivi stabiliti, danneggeranno il computer dell’utente», è la risposta degli esperti.
Un atto giudiziario su carta intestata del Ministero dell’Interno con tanto di logo, in cui si viene invitati a comparire in quanto oggetto di una indagine in materia di pedopornografia, cyberpornografia e pedofilia. È richiesto il pagamento di 6500 euro, altrimenti su tutti i giornali sarà spiattellata l’abitudine di visitare siti hot e chat erotiche. L’avviso, con tanto di citazione di articoli del codice di procedura penale che nulla hanno a che vedere con quanto scritto nella missiva, arriva a firma del Capo della Polizia, Prefetto Lamberto Giannini. Si tratta di un nuovo fronte del cybercrimine che ha progettato una truffa priva di malware e che risulta essere abbastanza fruttuosa, considerato che le mail e gli allegati sono piuttosto credibili. Si prospettano due soluzioni: la prima, quella di trovarsi un avvocato e andare in giudizio, con il rischio di finire in carcere per 5 anni e pagare una multa dai 10 ai 35mila euro; la seconda, più amichevole, inviare nome, cognome, indirizzo, numero di telefono e professione ed effettuare un bonifico da 6500 euro in due rate per risolvere la questione. La testata si è finta interessata alla seconda opzione e ha risposto con dati fittizi. A quest’ultimo messaggio ha fatto seguito un’altra loro mail con le coordinate bancarie cui effettuare il pagamento entro 24 ore. L’Iban risulta corretto e collegato a un numero di conto corrente di una filiale di Milano di una banca tedesca, la N26 Bank GMBH.
Secondo l’analisi di Ipsos-Idmo più si abbassa l’età, più aumentano i controlli sulle informazioni online per verificarne l’affidabilità, inclusa la presenza di fake news. Tra i giovani (18-30 anni), il 61% si accerta infatti di autori e link, il 56% fa comparazioni con altri indirizzi web, il 38% bada che il sito sia aggiornato. Percentuali che crollano se l’età è quella compresa tra 31 e 50 anni, e tra 51 e 64 anni. Stesso discorso a seconda del grado d’istruzione: meno titoli di studio fa il paio con meno controlli. Tra gli italiani non c’è confusione sul significato stesso di fake news. Il 73% degli intervistati, mille persone sentite tra l’1 e il 4 febbraio, metà uomini e metà donne, dai 30 ai 64 anni, per il 45% senza diploma, il 37% diplomati e il 18% laureati, ritiene infatti di essere in grado di distinguere un fatto reale da una bufala. Tuttavia, se deve giudicare il comportamento degli altri, il pensiero è che appena il 35% sia altrettanto capace di farlo. Questo atteggiamento è più forte tra i più giovani e scolarizzati: quasi otto giovani tra i 18 e i 30 anni di età (quote oltre il 75%) crede più nella propria capacità di saper distinguere i fatti reali dalle fake news che in quella altrui.
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