La reputazione è come la gravità. Invisibile, ma onnipresente. Nessuno la vede, ma tutti ne sentono il peso e lo sperimentano nella società.
Basta un passo falso e la caduta è immediata. L’effetto è tanto più devastante quanto più alta è la posizione da cui si cade. Eppure, nonostante questa evidenza empirica, la reputazione è spesso percepita come qualcosa di etereo, difficilmente afferrabile. E proprio questo paradosso ha alimentato per anni un errore concettuale di fondo: quello di considerarla una variabile non misurabile, e dunque non gestibile.
Da oltre venti anni lavoriamo nella direzione opposta: materializzare la reputazione. E quindi misurarla scientificamente. Abbiamo definito una nuova disciplina: l’“Ingegneria Reputazionale”. In questa visione la reputazione può essere definita matematicamente come funzione di una serie di variabili misurabili: il fine o la tipologia di relazione per cui si sviluppa una determinata percezione, il gruppo e il sistema culturale di riferimento, la lingua e l’orizzonte temporale.
Infatti, una stessa entità o fenomeno possono essere percepiti diversamente a seconda del fine di chi giudica (es. interesse personale o professionale), del gruppo di appartenenza (es: investitori o consumatori) del contesto culturale (es. Paese Occidentale o Paese Orientale), della lingua o del tempo in cui avviene. Il digitale ha cambiato tutto: ognuno contenuto rimane per sempre e produce un impatto.
Tutto ha una reputazione: persone, oggetti, brand, prodotti, città, fenomeni. Ed è questa che guida tutte le nostre scelte, ogni prodotto che compriamo, ogni servizio che scegliamo. La reputazione è l’asset fondamentale, di conseguenza è un patrimonio. Ogni contenuto pubblicato aggiunge o sottrae valore, se negativo, e tutto quello che esiste costituisce il capitale reputazionale.
L’editoriale del nostro fondatore e CEO, Andrea Barchiesi, su Il Riformista, nell’inserto “L’Economista”.
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