Cinquanta milioni di italiani nell’ultimo anno hanno cercato informazioni sulla pandemia e 29 milioni sono entrati in contatto con almeno una fake news. A certificare il dato, l’ultima indagine Censis sul rapporto tra media e Covid-19. Il coronavirus ha infatti avuto un impatto quasi senza precedenti sia sulle nostre vite che sul sistema della comunicazione e dell’informazione, aprendo importanti riflessioni anche sulla necessità di strumenti di contrasto alla disinformazione online.
Il giudizio degli italiani sulla comunicazione dei media
Secondo il rapporto Censis, il 72,6% degli italiani ha cercato informazioni sulla pandemia da Covid-19 in più di una fonte (in media sono state 2,6 le fonti consultate da ogni cittadino). Tra queste, le più utilizzate sono state:
- i media tradizionali (usati dal 75% degli italiani)
- i siti internet delle fonti istituzionali come, ad esempio, il Ministero della Salute (52%)
- i social media (30%)
A seguire, gli italiani in cerca di informazioni sul virus si sono rivolti al proprio medico di medicina generale (25%), ad amici o conoscenti 818%) e a parenti (17%).

Quali sono i temi che hanno generato maggiore interesse?
La comunicazione in tema sanitario, tuttavia, non è piaciuta a tutti. Numerose rilevazioni hanno infatti spiegato come l’infodemia e il “bombardamento continuo di notizie” sul Covid-19 abbia da un lato facilitato la diffusione delle informazioni, dall’altro aumentato la confusione delle persone. Un italiano su due, infatti, ha dichiarato di trovare la comunicazione su coronavirus “confusa”, mentre solo il 3,8% di loro l’ha definita “rassicurante”.
Un dato messo in luce anche dall’ultima analisi di Reputation Science sulla percezione degli italiani in tema di vaccini contro il Covid-19. Un settore che, considerato nel suo complesso, gode di una reputazione negativa e con un sentiment anche’esso negativo in un contenuto online su tre.

Tra i temi che, sul web, hanno generato più discussione compaiono quelli legati alla somministrazione, alla distribuzione e all’efficacia dei vaccini, così come le notizie sulla sperimentazione e sugli effetti indesiderati. Proprio quest’ultima categoria è quella che presenta il più alto tasso di negatività (65%).
Un esempio è il “caso AstraZeneca“, prima sospeso per via di alcuni effetti dannosi e poi riammesso nel piano vaccinale europeo. La successiva rassicurazione delle autorità competenti tuttavia non è riuscita a scalfire del tutto la diffidenza dei cittadini nei confronti del vaccino: le informazioni “negative” si erano ormai sedimentate, contribuendo a rendere AstraZeneca il vaccino con la peggiore reputazione online tra dicembre e marzo.
Le fake news durante l’emergenza sanitaria
La pandemia sul web, poi, ha portato con sè anche i rischi legati a una massiccia diffusione di fake news in ambito sanitario. I dati Censis pubblicati ad aprile dicono che sono 29 milioni, infatti, gli italiani che durante l’emergenza sanitaria hanno trovato sul web e sui social media notizie che in seguito si sono rivelate false o sbagliate. Solo durante l’emergenza, secondo i dati AgCom, sono state oltre 2.700 ogni giorno le false notizie circolanti in Rete
La disinformazione ha pertanto contribuito ad alimentare false credenze in merito al virus. Quasi venti milioni di italiani (il 38,6% del totale) pensano che il virus sia stato intenzionalmente creato in un laboratorio da cui è sfuggito, 6,2 milioni pensano che vaccinarsi sia obbligatorio, 5 milioni che i bambini non si possano ammalare di Covid e 2,3 milioni che ci sia una correlazione tra le antenne 5G e il coronavirus. Tutte convinzioni errate o smentite dalla comunità scientifica.
Come combattere le fake news? Le opinioni degli italiani
In un contesto come questo, la lotta alla fake news di ambito sanitario diventa quindi una priorità. Gli italiani, a tal proposito, hanno mostrato orientamenti divisi. Quando si parla di metodi di contrato alla disinformazione, il 56% di loro auspica pene più severe per chi diffonde deliberatamente notizie false, il 52% vorrebbe istituire l’obbligo per le piattagorme di rimuoverle e il 41%, invece, propone l’obbligo di fact-checking sui social media (dati: Censis).
Il tema è complesso e dovrà essere affrontato tramite il coinvolgimento di tutti gli attori in gioco, dalle fonti istituzionali agli operatori della comunicazione e dell’informazione, passando ovviamente per gli esperti e i cittadini. Da anni Reputation Manager studia il diffondersi della disinformazione online: l’esperienza in questo campo ha permesso di identificare diverse tipologie di fake news e di mettere a punto un modello tecnologico per fermarle.

Le fake news non sono tutte uguali
La falsità di una notizia può essere relativa alla fonte citata, al contesto in cui è inserita la notizia, al contenuto stesso che può essere strumentale e ideologico o addirittura manipolato e falsificato attraverso deep learning. Perfino la satira può rientrare tra le fake news perché, se male interpretata, può dare luogo a pesanti fraintendimenti. Un esempio: all’inizio dell’emergenza sanitaria un meme sulla birra Corona ironicamente associata al virus, circolato su WhatsApp e poi dilagato sul resto della Rete, ha fatto perdere all’azienda l’8% in Borsa in una settimana.
In ogni fake news i diversi aspetti vengono quindi combinati secondo una struttura propria e alcuni elementi chiave caratterizzanti che ne determinano il grado di efficacia e pervasività potenziale, come ad esempio una notizia che contenga una portante (una parte di verità), una deviante (un dettaglio sbagliato), una fonte autorevole citata in modo scorretto e faccia leva su un pregiudizio.
La tecnologia Fake Content Mitigation
La tecnologia è un player fondamentale per il contrasto alle fake news. La soluzione “Fake content mitigation” sviluppata da Reputation Manager si basa quindi su tre punti chiave:
- IDENTIFICAZIONE: identificare le fake news in tempo reale in qualsiasi luogo digitale
- CERTIFICAZIONE: analizzare e classificare le fake news in base a grado e veridicità
- CONTRASTO: contrastare le fake news nei loro luoghi di esistenza, attraverso eliminazione, modifica, deindicizzazione, inserimento argomentativo

L’azione di contrasto per essere efficace deve essere verticale sullo specifico ambito. L’intelligence preposta alla rilevazione e all’identificazione dei contenuti deve essere infatti addestrata sullo specifico argomento, per essere in grado di captare l’informazione potenzialmente fake. Successivamente questi contenuti devono essere certificati da un ente terzo, super partes, attraverso l’attivazione di esperti verticali, in grado di verificare puntualmente ogni singolo contenuto rilevato attraverso uno scheduling ben preciso. Infine sui fake certificati parte l’intervento di contrasto che prevede diversi tipi di azioni, dall’interazione strutturata con i canali portatori di fake news per richiederne la rimozione, la de-indicizzazione, la neutralizzazione, fino all’azione legale nei casi più complessi.